Orientarsi tra i “Frammenti di vetro”

Lettonia Frammenti Vetro

Il romanzo Frammenti di vetro (in lettone Stikli) si svolge in Lettonia tra il 1937 e il 1939, all’epoca della dittatura di Kārlis Ulmanis (1877-1942). Instaurata attraverso un colpo di stato nel maggio 1934, fu una dittatura relativamente morbida, rispetto ad altre contemporanee, e di breve durata. Nel 1940, l’annessione all’Unione Sovietica – esito dei protocolli segreti al patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica (23 agosto 1939) – cancellò, insieme al regime di Ulmanis, la Lettonia stessa come nazione indipendente fino alla sua restaurazione nel 1991.

Tutti i personaggi principali di questo libro, le cui voci si intrecciano toccando diversi piani temporali, sono però segnati, in maniera spesso dolorosa e traumatica, da precedenti fatti della storia novecentesca del paese baltico, che affiorano tra le righe e sono immediatamente noti al lettore lettone, ma non a quello italiano. Tento quindi di offrirne un conciso panorama che possa aiutare a orientarsi nel romanzo.

Il territorio dell’attuale Lettonia diventò una nazione nel 1918, in seguito al disfacimento dell’impero russo nel quale le regioni lettoni erano state inglobate, in momenti diversi, a partire dal 1721. Ciò tuttavia non intaccò in profondità le locali strutture di potere, che rimasero in prevalenza nelle mani della nobiltà tedesca, erede dei Cavalieri teutonici che erano arrivati sul Baltico nel XIII secolo, cristianizzando e asservendo le popolazioni indigene. Un quarto di sangue tedesco e aristocratico ha nel romanzo il giovane medico Kārlis Vilks, il cui cognome significa “lupo” (in tedesco Wolf). Kārlis è discendente di servi e di padroni, di lettoni e di tedeschi; l’alterigia degli ultimi nei confronti dei primi è evidente nei modi di nonna Johanna, la baronessa.

Prima ancora della grande guerra e della successiva indipendenza, un momento cruciale nella storia del Baltico fu il 1905, sfondo delle memorie dolorose di Ilze, la madre di Kārlis. La prima rivoluzione russa toccò infatti con violenza anche la Lettonia. Ci furono scioperi, manifestazioni, furono create milizie popolari. Qui la rabbia non si rivolse solo contro il governo zarista, ma anche contro i padroni tedeschi e il clero luterano. In tutta la Lettonia moltissimi castelli, residenze e proprietà dei baroni furono incendiati, razziati, devastati. Dopo la proclamazione della legge marziale, contro i partecipanti ai moti si scatenò la reazione dell’esercito, delle formazioni militari locali create dai padroni tedeschi e della famigerata Centuria nera (lettone melnā sotņa, russo černaja sotnja, organizzazione che raccoglieva gruppi filo-zaristi e ultranazionalisti russi) a cui si accenna nel romanzo.

Dopo lo scoppio della guerra mondiale il Baltico, ancora parte dell’impero zarista, si ritrovò presto sulla linea del fronte tra i due eserciti – il tedesco e il russo – che corre- va lungo il fiume Daugava. Già nel 1915 la Germania era riuscita infatti a occupare vasti territori lettoni, con l’intenzione di inglobare permanentemente tutta la regione nel suo impero al termine della guerra, sottoponendola a un processo di germanizzazione forzata. Nello stesso periodo si formarono speciali unità di fucilieri (strēlnieki), corpi di volontari che combattevano per lo zar ma sotto insegne lettoni (e che in seguito avrebbero avuto un ruolo impor- tante nelle battaglie per l’indipendenza). Nella primavera e nell’estate 1916 i fucilieri lettoni furono impiegati tra l’altro contro i tedeschi presso l’Isola della morte (Nāves sala, così chiamata dai soldati che vi combatterono) a una trentina di chilometri da Riga, allora non una vera isola ma un lembo di terra sulla riva sinistra della Daugava che in quel punto traccia approssimativamente un semicerchio. Lì, nel settembre 1916, i tedeschi impiegarono contro gli avversari gas fosgene. A questa traumatizzante esperienza continua a ritornare nel romanzo la mente di Mārtiņš, che davanti ai propri occhi rivede il padre morire soffocato.

Dopo la rivoluzione russa d’ottobre e il crollo dell’impero tedesco, la Lettonia proclamò la propria indipendenza nel novembre 1918, ma rimase ancora a lungo terreno di scontro tra diversi eserciti. Uno di questi era l’armata bianca guidata da Pavel Bermondt-Avalov (1877-1974), menzionato nel romanzo dall’infermiera Carmen come responsabile della morte del suo promesso sposo (p. 128). L’indipendenza de facto della Lettonia fu finalmente suggellata da un trattato di pace con la Russia Sovietica (1920) e dall’ammissione nella Società delle nazioni (1921). I territori lettoni, che prima della guerra mondiale contavano due milioni e mezzo di abitanti, ne avevano perso nel corso di quegli anni un milione, tra quanti erano morti e quanti erano stati evacuati in Russia all’inizio del conflitto. Primo ministro della neonata repubblica parlamentare divenne Kārlis Ulmanis (capo dell’Unione dei contadini lettoni, Latviešu zemnieku savienība) che avrebbe detenuto la carica per quattro volte, fino al colpo di stato del 1934.

Magdalēna, la protagonista del romanzo, è originaria del- la città di Rēzekne, in Letgallia (Latgale), regione orienta- le della Lettonia, confinante con la Russia e la Bielorussia. Storicamente e culturalmente la Letgallia si è sempre distinta dal resto della Lettonia. Ancora oggi è vivo l’uso del latgallico, varietà linguistica sul cui statuto di lingua autonoma o dialetto lettone non c’è accordo. Come nell’Italia fascista, così nella Lettonia degli anni Trenta l’uso del dialetto nella pratica quotidiana delle classi borghesi era considerato poco decoroso. «Parla lettone» intima la madre a Magdalēna nella prime righe del romanzo. Nel testo originale le battute precedenti sono infatti in latgallico, e brevi frasi o singole parole in latgallico – che naturalmente non era possibile rendere in traduzione utilizzando un dialetto italiano – appaiono qua e là nel libro.

Ilze, la madre di Kārlis che accoglie nella sua casa Magdalēna incinta, vive invece nei pressi di Rūjiena, cittadina situata nella regione della Livonia settentrionale, vicino al confine con l’Estonia. Il racconto degli eventi che portano all’uccisione di Jānis, il marito di Ilze, segue il filo degli accadimenti storici avvenuti a Rūjiena nel 1905, dalla petizione allo zar Nicola II che – come nelle numerose petizioni pro- venienti da ogni zona del paese – richiedeva una maggiore autonomia per il Baltico e giustizia sociale, ai cortei e alle manifestazioni e, infine, alle spedizioni punitive.

La dittatura di Ulmanis era propugnatrice di un acceso nazionalismo e del culto della lettonicità incarnata nel popolo vigoroso e sano. Di questo popolo Ulmanis, che non ebbe né moglie né figli ma diceva di essere “sposato con la Lettonia”, era il Condottiero (Vadonis) e il Grande seminatore (Dižajs sējējs).

«Qui una rosa, là una rosa, tutte in grembo al Condottiero» (p.54) cita il professor Krīvmanis di fronte allo stupito Kārlis, spiegando che si tratta delle parole con cui Aspazija aveva dedicato una sua raccolta di versi. Persino lei… commenta di sicuro fra sé il lettore lettone. Aspazija (Johanna Emīlija Lizete Rosenberga, 1865-1943) e Rainis (Jānis Pliekšāns, 1865-1929) sono la coppia d’oro della letteratura lettone, entrambe figure che esercitarono un grande influsso sulla cultura del paese: lei fu poeta, commediografa, femminista (come Ivande Kaija, 1876-1942, ugualmente menzionata a p. 68); lui fu poeta, commediografo, traduttore, uomo politico. A un’opera di un altro classico lettone, Rūdolfs Blaumanis (1863-1908), si allude poco prima nel romanzo (p. 53) del richiamo a Rainis e Aspazija, e precisamente alla pièce Il figlio perduto (Pazudušais dēls). Infine, il brano letto ad alta voce da Mārtiņš (p. 142) è tratto dal romanzo Il figlio del pescatore (Zvejnieka dēls) di Vilis Lācis (1904- 1966), estremamente popolare all’epoca.

In Lettonia furono effettivamente creati un Istituto di ricerca per la forza viva del popolo e una Commissione di eugenetica la cui missione – nello spirito di un’eugenetica “positiva” – era promuovere l’incremento demografico delle forze “migliori” del popolo. «Quel che ho cercato di mostrare nel romanzo Frammenti di vetro» ha scritto Inga Gaile nella sua postfazione all’edizione lettone del libro, «è come potevano sentirsi, in quell’atmosfera di positivismo, le persone che in base a una percezione oggettiva o soggettiva non corrispondevano agli ideali del regime di Ulmanis». Se in quell’epoca gli obiettivi dell’eugenetica in Lettonia non varcarono il confine che dalla ricerca, sia pur inappellabilmente deprecabile, di una moltiplicazione delle forze cosiddette sane conduce all’annientamento fisico di quelle giudicate malate, gli anni immediatamente successivi furono molto più tragici. Nell’estate 1941 la Germania nazista invase e occupò la Lettonia, nel 1942 furono ammazzati 336 dei 351 pazienti che in quel momento si trovavano nell’ospedale di Strenči.

Grazie innanzitutto al team di Mar dei Sargassi per l’intuito che ha portato a scovare questo libro e per il forte desiderio di pubblicarlo in Italia. Ho potuto lavorare alla mia traduzione prevalentemente in Lettonia grazie anche a una borsa di mobilità del programma europeo Culture Moves Europe. Ringrazio per il sostegno e l’ospitalità la Casa internazio- nale degli scrittori e traduttori di Ventspils (Starptautiskā rakstnieku un tulkotāju māja) e l’Associazione lettone degli scrittori (Latvijas rakstnieku savienība) che mi ha dato la possibilità di soggiornare presso la residenza di Dubulti. Per due settimane ho avuto il piacere di risiedervi insieme a Inga Gaile che con grande gentilezza ha chiarito tutti i miei dubbi sul testo e ha accettato di raccontarmi molte cose su questo libro e sul suo lavoro.

Margherita Carbonaro

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